Il Criollo o Cavallo Argentino (e la sua doma)

Foto tratta dal sito http://www.caballoscriollos.com
Dedico il primo post di questo nuovo anno al Cavallo Argentino.
Non poteva che essere così vista la mia recente lettura (ancora in corso) del bellissimo Tschiffely's ride (di cui ho già parlato in post precedenti e dal quale difficilmente mi staccherò). Inoltre il 2014 è l'anno del Cavallo e il Criollo è a tutti gli effetti un cavallo con la c maiuscola (anche se spesso ingiustamente poco considerato).

Di tipo mesomorfo, ha un'altezza che può oscillare tra i 142 e i 155 cm al garrese; le orecchie sono piuttosto lunghe e distanziate, il profilo è rettilineo o montonino. Il collo è lungo e muscoloso, coperto da una criniera abbondante. La criniera, però, tradizionalmente, viene accorciata a spazzola e la coda o tagliata corta o raccolta in un nodo.
Dal Sud America si è poi diffuso anche in Europa dove viene impiegato soprattutto per il trekking e l'equitazione di campagna. È però anche un compagno apprezzato nel gioco del Polo.
 
Ma chi meglio di Aimé Tschiffely può raccontarci qualcosa in merito a questi straordinari Cavalli: 
(...) In seguito fui messo in contatto con il dottor Emilio Solanet, il più entusiasta allevatore di cavalli di razza Criollo e una delle più grandi autorità in merito, verso il quale sarò sempre in debito di gratitudine. Egli si entusiasmò al progetto e s'impegnò a mettere a disposizione due cavalli per il viaggio. 
Alcune parole sull'origine del cavallo Criollo possono aiutare il lettore a comprendere le ragioni delle loro qualità di resistenza. 
Essi sono i discendenti dei pochi cavalli portati in Argentina, nel 1535, da Don Pedro Mendoza, fondatore della città di Buenos Aires. Questi animali erano della migliore razza spagnola, a quel tempo la prima in Europa, con una gran parte di sangue arabo nelle vene. Che questi fossero i primi cavalli in America è confermato dalla storia, dalle tradizioni e dal fatto che nessuna lingua nativa americana contiene una sola parola riguardo i cavalli. 
Più tardi, quando Buenos Aires fu saccheggiata dagli indiani e i suoi abitanti massacrati, i discendenti dei cavalli spagnoli furono abbandonati a vagare per il paese. Vissero e si riprodussero secondo le leggi della natura, furono cacciati dall'uomo e dagli animali selvaggi. La siccità li costrinse a percorrere enormi distanze alla ricerca dell'acqua, il clima insidioso con i suoi repentini mutamenti di temperatura li decimò, ma in breve i più forti furono costretti a obbedire alla legge della sopravvivenza. Le attitudini della razza sono state ampiamente provate durante la Guerra d'Indipendenza e le varie guerre indiane. Il cavallo Criollo ha sostenuto marce che potrebbero apparire incredibili, se non fossero un fatto incontrovertibile. (...) 
(tratto dal libro Tschiffely's Ride di Aimé Tschiffely p. 20-21)
Il Criollo è quindi un cavallo molto frugale e molto resistente, una vera e propria "roccia" del mondo equino. Queste sue caratteristiche non devono però essere intese come una giustificazione al cattivo trattamento che viene spesso loro riservato. Il rispetto e la gentilezza non si negano a nessun essere vivente. Purtroppo la tradizionale doma argentina non è affatto in linea con questi principi.  

Come ci racconta Aimé: 
(...) In un'altra estancia ebbi l'opportunità di essere testimone di una domada, cioè una doma di cavalli. Il domador (addestratore) era impegnato con un branco di potros (puledri) dai tre ai quattro anni d'età, alcuni dei quali scatenati come gatti selvatici. Era un giovane alto e longilineo, di circa venticinque anni, con carnagione scura e bel portamento, concentrato esclusivamente sui cavalli. La cattura e la bardatura erano compito di due assistenti. Questi entrarono nel recinto, lazo in mano, e gridando e agitando la corda indussero i cavalli a un galoppo selvaggio, facendoli girare in circolo finché l'animale prescelto non si separò dagli altri; poi, con una mira infallibile, la corda si strinse intorno al suo collo. 
Fu sconcertante vedere come il cavallo selezionato comprendesse le loro intenzioni. Avrebbe voluto divincolarsi e fare marcia indietro, tenendo sempre due o tre cavalli tra se stesso e gli uomini, mentre gli altri animali sembravano aiutarlo deliberatamente. Tuttavia, alla fine fu preso e il lazo immediatamente assicurato a un palenque (grosso palo) al centro del recinto. Dato che lottava e scalciava, gli legarono le gambe, facendolo cadere con un tonfo. Mentre si trovava a terra, gli fu fatto scivolare in bocca il bocado. Questo è usato in sostituzione del morso ed è semplicemente una striscia di cuoio crudo, legato saldamente alla mascella inferiore e a cui sono fissate le redini. Gli consentirono di rialzarsi, ma le sue gambe posteriori erano ancora legate assieme, una gamba anteriore tenuta sospesa e la testa bloccata al palenque. Subito dopo uno degli assistenti gli mise la sella, mentre l'altro si preoccupava dei lazos. Il sottopancia fu stretto a tal punto che alla fine lo sfortunato animale assomigliava a una reginetta dei balli vittoriani. Quando fu tutto pronto, cautamente fu trascinato in campo aperto, con un anteriore ancora sollevato. Anche su tre gambe riusciva a scalciare e gli uomini dovevano stare molto attenti. 
Quando infine il domatore montò sul puledro, le corde furono sciolte e cominciò lo spettacolo. Lanciandosi in avanti, calciando, sgroppando, il cavallo impazzito cercò di liberarsi del suo cavaliere, ma ogni tentativo di disarcionarlo ebbe come unico risultato una sferzata con la larga striscia di cuoio crudo del rebenque (scudiscio). Cambiando tattica, partì a folle velocità , trovandosi però circondato da altri cavalli, montati in modo da verificare ogni suo tentativo di avvicinarsi allo steccato, dove avrebbe potuto spazzare via quel suo carico dalla schiena. Galopparono, girando attorno al campo, e il domatore a volte lo obbligava a rallentare tirando le redini con tutte le forze, altre volte lo incoraggiava ad allungare il passo con grida e colpi. Finalmente lo fece fermare; la prima lezione era finita. Il domatore scese e con calma si accese una sigaretta senza - per quanto ho potuto vedere - il minimo segno di tremore alle mani, e si mise a guardare verso il prossimo animale da sellare. (tratto dal libro Tschiffely's Ride di Aimé Tschiffely p. 41-42-43)
Foto: © Eduardo Amorim


La doma in Sud America (e non solo lì) viene vissuta come un vero e proprio spettacolo, con tanto di spettatori esaltati dalle gesta eroiche dei domatori di turno. Il cavallo non è altro che uno strumento, da sottomettere e umiliare per dimostrare la propria superiorità rispetto alla forza animale.

Credo che le tradizioni siano importanti per la storia delle culture dei popoli, ma all'alba del 2014 trovo a dir poco imbarazzante che esistano ancora spettacoli tanto indegni, che mettono in pericolo gli animali (vittime senza alcuna responsabilità) e anche gli uomini (che più che coraggiosi ed eroici definirei  pazzi e incoscienti). 
La storia è importante ed è interessante sapere che un tempo la doma dei cavalli o di altri animali avveniva in un certo modo, ma è tempo di evolversi. 
Raccontare le tradizioni serve a non dimenticare le nostre origini, ma di fronte a errori evidenti è bene cambiare e migliorare. 
Ancorarsi a qualcosa di completamente insensato appellandosi al fatto che "è la tradizione" mi sembra davvero ridicolo. 

Ho sempre nella mente il ricordo vivissimo di una cavalla Argentina di circa 8 anni. Nata e domata lì, è arrivata in Italia con mille paure, con il terrore negli occhi, le orecchie talmente tirate indietro che quasi sembrava non averle e una rigidità nei movimenti che credo innaturale per un cavallo. 
Non posso conoscere il vissuto di questa cavalla, ma a questo punto una mezza idea di quello che ha passato ce l'ho e sono veramente felice al pensiero di saperla ora nel suo ampio paddock tranquilla insieme al suo mini branco in cui si è ambientata benissimo e che certamente la aiuterà a recuperare il meglio di sé e del suo essere cavallo.   
Sarebbe bello che la tipica doma dei gauchos rimanesse solo un lontano ricordo. 
Almeno questo è il mio punto di vista. 

BUONA SERATA! :-)

Commenti

  1. Evolversi? Verso che? Diventare dei flaccidoni, imbelli, semmai vegani, forse gay, intellettuali di sinistra, amebe senza spina dorsale? Se questo e' evolversi, io preferisco rimanere indietro e assistere allo spettacolo della doma vaquera, alla corrida, ed ad un simpatico incontro fi box.

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    1. Questa idea che essere violenti = essere forti é tipica di chi non ha abbastanza palle per scegliere una strada non battuta e si rifugia in rassicuranti stereotipi

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