Suite francese_Irène Némirovsky

Sto leggendo un libro, tornato alla luce in Francia solo nel 2004 e poi pubblicato in molti altri paesi, che merita secondo me molta attenzione. Si tratta di Suite Francese di Irène Némirovsky, autrice di origini ebraiche, nata a Kiev ma poi trasferitasi a Parigi, città in cui è anche ambientato questo bellissimo romanzo che l'autrice ha composto nei mesi che precedettero il suo arresto e la deportazione ad Auschwitz.


Il tema centrale non sono i cavalli né l'equitazione, ma la seconda guerra mondiale vista con gli occhi di tanti personaggi e personalità differenti. 
C'è però una bellissima descrizione a tema che sono sicura piacerà anche a voi. Eccola qui:
...
Allora usciva dalla stanza, attraversava il cortile dove schiamazzavano i tacchini e scendeva fino a un piccolo prato chiuso da uno steccato. Lì alcuni cavalli brucavano l'erba. C'era una giumenta dal mantello bruno dorato con i suoi due puledrini color caffelatte dalle corte e ruvide criniere nere. I cavallini andavano a strofinare il muso sulle gambe della madre che continuava a brucare agitando con impazienza la coda per scacciare le mosche. A volte uno dei puledri girava la testa verso Jean-Marie sdraiato vicino allo steccato, lo guardava con il suo occhio umido e nero e nitriva giulivo. Jean-Marie non si stancava di contemplarli. Avrebbe voluto scrivere la storia immaginaria di quei deliziosi puledrini, raccontare quel giorno di luglio, quel villaggio, quella fattoria, quella gente, la guerra, se stesso. Scriveva con un mozzicone di matita mezzo consumato su un quadernetto da scolaro che nascondeva poi sul cuore. Scriveva in fretta, qualcosa lo rendeva inquieto, bussava a una porta invisibile; scrivendo, apriva quella porta, dava libero corso a ciò che desiderava essere portato alla luce. Poi, di colpo, si scoraggiava, si sentiva stanco, nauseato. Che pazzia buttar giù quelle stupide storielle, lasciarsi coccolare dalla fattoressa mentre i suoi compagni erano in prigione, i suoi genitori disperati lo credevano morto, l'avvenire era così incerto, il passato così funesto. Ma, mentre si abbandonava a quei pensieri, ecco uno dei puledri correre gioiosamente avanti, poi fermarsi, rotolarsi nell'erba, agitare in aria gli zoccoli, strofinarsi contro il terreno e guardarlo con i suoi occhi brillanti di tenerezza e di malizia. Lui tentava di descrivere quello sguardo, tentava con curiosità, con impazienza, con un'ansia bizzarra e dolce. Non ci riusciva, ma capiva quello che doveva provare il piccolo puledro - quanto era buona l'erba, così fresca e croccante! Quanto erano insopportabili le mosche! E che aria aveva quando alzava le froge e correva e scalciava libero e fiero. Scriveva in fretta poche righe incomplete, goffe: ma non significavano niente, non era quello l'essenziale, pazienza, ci sarebbe arrivato. Allora chiudeva il quaderno e rimaneva immobile, con le mani aperte e gli occhi chiusi, stanco e felice. 
... 

Buonanotte a tutti!

Commenti

  1. Che descrizione vibrante! Non conosco questo libro ma il mio patrigno ha tutti gli Adelphi, corro a frugare nella sua libreria :D

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